Il Dual use

Ovvero della duplicità delle cose

  • 20 Luglio 2015
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    Il Dual use

Il profondo significato dell’espressione dual use va ravvisato nell’etimologia stessa. Il duale nasce infatti quale possibile concretizzazione della categoria del numero grammaticale, essendo presente già nelle più antiche lingue indoeuropee (sanscrito, greco antico e quel meraviglioso timelapse che è il lituano). Viene utilizzato per indicare parti doppie del corpo, e per estensione coppie di persone od oggetti. Proprio la sua connaturata essenza di realizzata duplicità, di simmetrico antagonismo, di perfetta alternativa lo rende adatto a definire quei beni e quelle tecnologie che, impiegate normalmente a fini civili, possono avere applicazioni in altri settori strategici.

La sensibilità su questo tema nasce negli anni Ottanta, quando la proliferazione di armamenti diffusi tramite trasferimenti internazionali di beni duali portò alla nascita di regimi di controllo e, a metà anni Novanta, di una legislazione europea mirante a controllare tali flussi di export. Allo scopo di armonizzare le legislazioni nazionali dedicate ai c.d. export controls che nascevano a macchia di leopardo, sono sorti accordi internazionali quali il Nuclear Suppliers Group (NSG), l’Australia Group (AG), il Missile Technology Control Regime (MTCR) ed il Wassenaar Arrangement (WA).

Negli ultimi tre lustri, soprattutto in seguito agli attentati alle Torri Gemelle ed all’aumentare degli episodi di terrorismo, i controlli all’export si son fatti sempre più “chirurgici”: in UE, l’adozione del Regolamento 428/09 (e le successive, numerose, modificazioni), ha portato alla creazione di un elenco dettagliatissimo dei beni dual use nel quale ad ogni bene viene assegnato uno specifico codice di riferimento (non collegabile direttamente all’impianto delineato dal sistema armonizzato per l’ambito doganale).

Il dettato normativo non si limita ad identificare prodotti (inclusi software e tecnologia relativa) a duplice uso da sottoporre a controlli all’export, ma tramite la clausola c.d. catch all sottopone ad autorizzazione qualunque prodotto qualora l’esportatore venga informato che questo possa esser utilizzato in programmi di produzione di armi o di relativi vettori. L’esportazione è soggetta ad autorizzazione anche quando l’esportatore ha conoscenza diretta di prodotti che siano destinati a tutte quelle utilizzazioni descritte sopra.

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