Lavoro: cosa cambia con la "Riforma Fornero"

Una panoramica sui principali interventi di modifica ai rapporti contrattuali

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    Lavoro: cosa cambia con la "Riforma Fornero"

Il 18 luglio 2012 è entrata in vigore la riforma del mercato del lavoro, meglio nota come "riforma Fornero", che cambia profondamente la gestione del personale nel rapporto con le aziende. Ma come si traduce questa novità in termini concreti? Vediamo di analizzare gli elementi chiave.

Il punto più controverso riguarda la disciplina dell'Articolo 18, per cui sono state stabilite tre tipologie di licenziamento, estese anche alle aziende con meno di 15 dipendenti:

  • Discriminatorio - Il licenziamento è da ritenersi sempre illegittimo e il reintegro del lavoratore è obbligatorio.
  • Economico - Prevede il reintegro solo in caso di "manifesta insussistenza" della motivazione. Per gli altri casi si ottiene un risarcimento.
  • Disciplinare - Reintegro o risarcimento vengono stabiliti dal giudice che deve tenere conto anche della disciplina dei contratti collettivi oltre che della legge.

Uno degli interventi più importanti riguarda la modifica alla disciplina dei rinnovi del contratto a termine, messa in atto per combatterne l'utilizzo spesso elusivo, che nasconde in realtà una natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro tra datore e lavoratore. Un'indicazione espressa anche nella dichiarazione di intenti della riforma, ove si specifica come il contratto a tempo indeterminato vada considerata "la forma comune di rapporto di lavoro".

Un primo deterrente è nella scelta di aumentare da 10 a 60 giorni l'intervallo di tempo obbligatorio tra la scadenza di un contratto a termine di 6 mesi - o inferiore - e la stipula di uno nuovo, e da 20 a 90 per quelli di durata superiore. Un fattore che rende non conveniente il rinnovo dello stesso, dato che le aziende avranno meno interesse a rimanere senza lavoratore per intervalli così lunghi.

Un secondo intervento è nella scelta di istituire un nuovo contratto a termine definito "acausale", che di fatto mira a liberalizzare il primo rapporto di lavoro a tempo determinato. Alcuni punti cardine di questa nuova formula:

  • il contratto a termine dev'essere il primo stipulato tra le parti;
  • la durata massima dev'essere di dodici mesi;
  • non prevede la causale giustificativa dell'apposizione del termine;
  • il lavoratore non deve aver già lavorato in somministrazione di lavoro per lo stesso datore;
  • non può essere prorogato.In sostanza, il contratto assume i connotati di un "periodo di prova" di un anno.

Cosa cambia per le imprese?
La conseguenza immediata consiste nel facilitare le scelte sull'assunzione di un lavoratore a tempo determinato: l'assenza - sul contratto - della ragione giustificativa del termine evita il rischio che indicazioni non perfettamente specificate o insufficienti comportino infatti l'obbligo di una trasformazione dello stesso in indeterminato.

D'altra parte ciò favorisce, alla scadenza del contratto, l'assunzione di un nuovo lavoratore a termine anziché la stabilizzazione del dipendente già in azienda da 12 mesi (specie laddove il ricambio non influisce negativamente sulla produttività).

Ulteriore novità anche per quanto riguarda il contratto di apprendistato, per cui viene introdotta la durata minima obbligatoria di sei mesi (fatte salve le attività stagionali). In particolare, nelle aziende con più di nove dipendenti, è fissato un tetto massimo di tre apprendisti assumibili ogni due maestranze qualificate in servizio e l'obbligo di confermare almeno il 50% degli apprendisti assunti negli ultimi tre anni, pena il divieto di assumerne di nuovi.

 

Troverai il resto dell'articolo nel numero di settembre de Il Distributore Industriale